Per alcuni il viaggio si limita a un’evasione dal quotidiano, a un paio di selfie da esibire sui social. Per me rappresenta una vera e propria vocazione. Il senso della mia prima vita, quando lavoravo come tour leader per società ed enti istituzionali accompagnando professionisti in giro per il mondo, e il respiro vitale della seconda, quando mi viene diagnosticata la sclerosi multipla.
A dicembre 2012 mi dicono che sarei finita su una sedia a rotelle. A gennaio del 2013 parto per due mesi, dopo che i medici si erano raccomandati di stare a riposo e lontana dal caldo: ho optato per il Brasile dove era piena estate dove avrei potuto stare adagiata sulla mia sedia come un pugno di sabbia che ha trovato spazio in una conchiglia. Ho realizzato e metabolizzato la malattia in viaggio. Al ritorno ho deciso di affrontarla, di sottopormi a cure sperimentali e di buttarmi a capofitto nella riabilitazione. Poi ho visto che la sclerosi progrediva e quindi ho scelto di tornare alla mia passione e di aprire un blog. Quando dall’Asl arriva la sedia a rotelle e il Triride, mi sono sentita liberata: è come guidare un motorino. E in sella a quello scooter volevo provare ad attraversare l’Islanda, dove ero stata in Erasmus nel 1998. Dopo aver ripercorso l’isola dell’Atlantico e con essa brandelli di giovinezza, nell’estate del 2016 ho scelto come meta Miami, confortevole e ideale per allenami alle successive sfide erranti.
Attraverso una raccolta fondi nel gennaio del 2017 mi sono spinta in Oriente, nella terra della spiritualità avvolta da polvere e miseria: l’India. I medici locali la definiscono «la patria dei virus», ma gli avvertimenti non scalfiscono la mia voglia di libertà che non concepisce limiti e accetta di essere compressa solo per entrare in un trolley. Biglietto di sola andata e nessun programma, perché da travelblogger amo percorrere il cammino senza tracciarlo in anticipo, abbandonandomi agli incontri lungo la via. E questa apertura alla varietà umana, disseminata nella casualità delle tappe, cresce ancora di più ora che devo chiedere aiuto a chiunque si trovi davanti a me.
Prima di atterrare avevo letto molto di Tiziano Terzani e desideravo vedere l’alba che lo scrittore descriveva come l’ora più bella in India.
Mi chiedevo se sarei riuscita ad ammirarla dal Gange e se avrei dovuto pagare qualcuno. Invece a Varanasi mi hanno fatta salire in barca e ho visto il sorgere del sole e anche il tramonto. E poi, se mi bloccavo davanti alle gradinate dei ghat, c’era subito qualcuno che mi sollevava per farmi salire. Certo sono magra, se fossi stata un peso massimo non si sarebbero offerti di buon grado. In strada mi fermavano tutti, interessati alla mia sedia a rotelle motorizzata. Pensavano avessi inventato un nuovo tuk tuk.
La mia peregrinazione indiana dura tre mesi e si rivela un carosello di vite e di luoghi: ho incontrato e sono stata ospite di italiani che lavoravano a Delhi e avevano letto mie interviste o il blog. Qui ogni persona del Nord era legata a qualcuno del Sud e viceversa. Molti mi mandavano dai loro amici dall’altra parte del Paese. Mi sono intrufolata nelle vie affollate da mucche e baracche, sono entrata nelle scuole, ho dormito nelle case dei locali. Non sono mai andata alla ricerca di posti accessibili né di strutture attrezzate, mi spingo dovunque e trovo il modo per superare gli ostacoli. Ora ho perso anche l’uso degli arti superiori. Faccio fatica a inserire il freno della sedia, fatico a respirare, ma trovo sempre una soluzione.
Nel frattempo penso al mio prossimo viaggio. Mi piacerebbe il Perù: vorrei vedere il lago di Titicaca, fare il cammino Inca e raggiungere il Machu Picchu. Tra l’altro la parte pazza di me andrebbe lì e aspetterebbe qualcuno per salire in cima, ma mi rendo conto che può essere rischioso. Esiste la joelette, un’attrezzatura con cui i disabili vengono portati a spalla. Un’associazione offre questo servizio, ma una giornata costa 400 dollari. Perciò rilevo già una problematica: perché dovrei pagare di più di un normodotato? Voglio poter viaggiare low cost. Per ora non ho programmato nulla, nemmeno il volo, ma ho già contatti a Lima e amici di amici che andrò a trovare. Pronta per un altro giro di giostra.
Ciao Simona,
avevo scritto un precedente messaggio, ma non so se l hai mai ricevuto in quanto non lo vedo più tra i commenti ad una tua pagina di diario.
Mi chiamo Donatella, sono un’insegnante di inglese che adora viaggiare come te e il mio compagno ha la sclerosi multipla progressiva è uno psicologo e vorrei tanto portarlo in un viaggio con me che da quando sto con lui non ho più viaggiato molto all’estero ma su e giù dalla Sicilia perché io vivo sulle Alpi e lui a Palermo: uniamo l’Italia!
Ti scrivo perché ho adorato vederti con la sedia a rotelle in giro per il mondo e avrei bisogno di consigli su come organizzare un viaggio con il mio compagno in sedia a rotelle, su come stare così a lungo in aereo e risolvere tutte le esigenze di una persona che non può muoversi!
Vedo in te la stessa forza che vedo in lui e per me la disabilità non è un limite ma solo una condizione umana da affrontare come tutte le altre!
Donatella