Miami

Avevo ventiquattro anni e in tasca una laurea in Belle Arti. Mi piaceva dipingere, allora pensavo che la mia passione sarebbe diventata anche il mio lavoro. Ma di passione ne avevo un’altra: viaggiare, andare alla scoperta del mondo. Sono partita per New York armata di acquerelli e tanti sogni. Ho fatto la cameriera in alcuni locali, soprattutto per imparare la lingua. Mi piaceva stare a contatto con la gente, osservare le persone. È stata un’esperienza che mi ha dato molto, ho conosciuto persone che sono rimaste nella mia vita come spesso accade durante i miei viaggi. In quel periodo ho trovato una sistemazione condivisa con altri ragazzi, tutti assistenti di volo. Per risparmiare eravamo in cinque in quell’appartamento a Kew Gardens, un quartiere del Queens in una zona posizionata tra i due aeroporti LaGuardia e JFK.

Mi piaceva cucinare per tutti, naturalmente piatti italiani che avevo visto in tavola fin da piccola. Era il mio modo per rendermi utile e per farmi accettare da quella specie di “comune” in cui si condividevano spazi e sogni per il futuro. Il lavoro mi piaceva, guadagnavo poco ma con le mance potevo permettermi di sbirciare le vetrine della 33rd Street, anche se non sono mai stata un’amante dello shopping, preferivo acquistare piccoli regali per i miei nipoti. Mi sentivo talmente sicura che un giorno ho deciso di farmi un regalo: quegli stivali in pelle old-west che mi sono costati una fortuna ma ancora conservo come una reliquia. Con Luis andavo d’accordo, mi piaceva la sua mania per l’ordine della casa, la pulizia, le sue divise sempre stirate e in ordine. Parlavamo molto. Mi raccontava di lui, dell’infanzia complessa di un bambino portoricano e del sogno dell’America.

 

Intanto mi guardavo intorno e cercavo di immaginare il mio futuro. Continuavo a colorare i miei acquerelli e ne facevo dono alle persone che più mi stavano a cuore. In una delle nostre interminabili chiacchierate, Luis mi aveva convinta che l’Art Istitute of Chicago era il posto giusto per me. Pensavo che un master in fine art sarebbe stato lo sbocco naturale per la mia passione per l’arte, ma il costo era proibitivo. Sessantamila dollari erano tantissimi allora, come lo sono oggi, e non sarebbe bastata la borsa di studio che avevo vinto a Roma, nemmeno se ci avessi aggiunto tutte le mance che raggranellavo in un marsupio e che poi conservavo gelosamente nella sacchetta cucita attorno ai fianchi.

Dopo alcuni mesi mi sono rassegnata, ho preso atto che si sarebbe trattato di un’impresa impossibile e sono tornata a Roma, masticando un po’ più di inglese, per cominciare a lavorare come tour leader. Ero testarda, come ora d’altronde, convinta a mettere da parte i soldi necessari per tornare a studiare negli USA.

Poi mi sono dovuta scontrare con la realtà: i miei miseri risparmi non mi avrebbero mai permesso di affrontare i costi di una università americana. Intanto la mia vita aveva preso un’altra direzione, viaggiavo molto per lavoro e spesso ne approfittavo per unire l’utile al dilettevole prolungando le permanenze all’estero.

Ora ritorno negli USA, a Miami, a distanza di sei anni dall’ultima volta. Luis, il mio amico assistente di volo con cui sono sempre rimasta in contatto, mi ha ospitata e coccolata insieme al suo compagno Miguel. Questa volta la sfida è stata ancora più impegnativa perché ad accompagnarmi, oltre ai miei nipoti, c’è la sclerosi multipla. Una compagna di viaggio ingombrante, che progredisce inesorabilmente e si è impossessata del mio corpo, ma non riuscirà a privarmi di quel tocco di incoscienza che ancora mi permette di volare oltre Oceano.

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