Dopo il soggiorno al centro ayurvedico di Varkala, ho ripreso le forze e posso affrontare il viaggio in treno di 17 ore che mi porta a Bangalore. Questa volta andrò a visitare il centro gestito da Opera don Guanella e vi sosterò per alcuni giorni. Il primo impatto con Bangalore è sconcertante.
La città portabandiera della modernità tecnologica di un paese che vuole lasciarsi alle spalle la vecchia immagine legata alla povertà sembra quasi una metropoli occidentale, solo più caotica. Ma basta poco perché sotto l’apparente scarsità di attrattive si manifesti in tutta la sua forza il fascino più profondo dell’India.
L’India sta cambiando e Bangalore è la rappresentazione più chiara di questo cambiamento: il vecchio ed il nuovo si scontrano e convivono per le strade della città, che alterna carri trainati da buoi a fiammanti macchine straniere. Certo, sono lontani i tempi in cui le classi più povere, gli intoccabili, spazzavano camminando all’indietro per cancellare le orme del loro passaggio, tenevano la testa china per evitare di incrociare lo sguardo dei loro padroni e facevano attenzione a non contaminarne il cammino dei Bramini con la loro ombra, ma il sistema delle classi non è scomparso, piuttosto ha assunto aspetti diversi.
Gli intoccabili sono oggi quanti arrivano dalla campagna, i contadini senza terra, sono quelli che puliscono gli escrementi degli innumerevoli animali che vagano per le strade, sono lustrascarpe e venditori ambulanti, quanti defraudati dei loro beni e di tutti i diritti vivono in tende di plastica nella periferia della città e lavorano per pulire le strade a 4 rupie all’ora. I paria sono i bambini di strada che chiedono l’elemosina ai semafori delle strade e che con i loro sguardi riescono a spezzare anche i cuori più duri.
Bangalore è tutto questo e molto altro ancora, è il rumore e l’odore acre dei generatori per strada che entrano in funzione ogni volta che l’energia elettrica ha un black out, la corsa pazza delle auto allo scattare del verde ai semafori, le donne con il sari e le bambine con le trecce nere che vanno a scuola.
Con l’aumento della migrazione, vi è un aumento del numero di slum anche in Bangalore. Oltre un milione di persone dorme in baracche ogni notte a Bangalore, che quindi rappresenta il boom della tecnologia indiana ma non solo, è anche una città dove le fogne a cielo aperto ed i mucchi di immondizia convivono con lussuosi parcheggi di grandi hotels e centri commerciali.
“Slums”, vere cittadelle dentro la città, non lontane dalla City, distribuite in una miriade di piccolissimi vicoli, ai lati dei quali sorgono casette di pochi metri quadrati anche in altezza, tanto che vi si entra in ginocchio. Nei “famosi” slums indiani una media di 6 membri per ogni famiglia, è costretta a vivere in uno spazio di pochi metri quadrati, senza finestre, senza sistema idrico, senza servizi igienici; una grande cisterna posta al centro dello “slum” risulta essere l’unico sistema per l’approvvigionamento dell’acqua ed uno spazio comune a cielo aperto rappresenta la toilette in comune.
Per problemi sanitari, i centri medici statali in genere distano chilometri di distanza dallo “slum” e, non avendo risorse per servirsi di mezzi di trasporto, il tasso di mortalità è elevatissimo ed il 99% dei bambini vengono alla luce proprio nello slum. Non esistono centri educativi pubblici in queste aree e, per la necessità di aiutare le misere entrate delle famiglie, l’83% dei bambini entrano nella rete del lavoro minorile.
Statistiche rilevano che i “lavoratori bambini” sono circa un milione a Bangalore e che il 35% di essi, dai 5 agli 8 anni, sono avviati alla prostituzione e vivono per strada. Una città che sbatte in faccia al visitatore tutte le sue contraddizioni, ma anche la dignità delle persone che riescono ad affrontare la vita con il sorriso.